Negli oggetti vecchi vivono storie che agiscono su di me come calamite.
Mi attraggono in modo misterioso e viscerale, anche quando non vedo con gli occhi o non tocco con mano.
Sono diversi anni che in estate andiamo per qualche giorno a Palazzuolo sul Senio, paesino di confine tra Toscana ed Emilia Romagna, linea gotica, luogo di storie dell'ultima guerra, terra di famiglia.
La domenica c'è sempre il solito mercatino, l'ho visitato tante volte: una parte si dispone sulla strada, quella che accoglie tutto ciò che puoi trovare ormai in qualsiasi parte d'Italia. Un'altra parte invece si snoda sotto i tigli, costeggia il cimitero: lì per terra, adagiati alla bell'e meglio su stracci di fortuna, stanno cose dalle più disparate, residui di vecchie cantine, ereditate e ingombranti. Ci sono utensili da lavoro, roncole, tenaglie, punteruoli, vetrerie sbiadite, bambole vecchie e vecchie lenzuola ricamate a mano.
Se passi e ripassi impari ad affinare lo sguardo e qualcosa si incaglia all'angolo dell'occhio, devi girarti a vedere, tornare indietro se necessario. Anche questa volta mi sono voltata e tornata indietro.
Legate da un filo, sporche e incrostate, ci sono delle tesserine di una lega di rame (3 x2 cm), che hanno al centro l'incisione di una lettera. Un mondo disperso di miriadi di combinazioni, segni, contenitori di senso, che aspettano qualcuno che le ricomponga in nuove parole. Non potevo lasciarle vagare, ho dovuto prenderle con me. Cercherò con loro parole nuove e anche il modo in cui andavano usate.
Ma per le sorprese ci vuole sempre il tempo di un dialogo, come ho imparato nei suk della Siria. Ho atteso quel dialogo, rigirandomi tra le dita le mie nuove letterine. È stato allora che il proprietario del banco ha pensato bene di mostrarmi il suo vero tesoro, sicuro, non so perché, che avrebbe fatto colpo.
Apre così un raccoglitore di vecchie cartoline, alcune delle dive del cinema italiano degli anni 50' con tanto di autografo, da Sofia Loren a Gina Lollobrigida, sulle quali scorre lentamente, in attesa di un balugino dei miei occhi, che invece non c'è. Poi arriva al centro del raccoglitore e mi dice che quelli sicuramente fanno per me.
Si tratta di libricini, 10 x 6 cm, contenenti storie antiche e calendari, distribuite ai propri clienti dai commercianti tra gli anni 20' e 30' come forma di pubblicità. Ne resto incantata.
Quello che racconta la storia di Tristano e Isotta è un calendario datato 1927, e veniva distribuito da una ditta di Faenza che produceva pellicce e capelli per signore.
Le illustrazione hanno colori vivaci, uno stile che rimanda alle influenze dell'Art Nouveau, tratti decisi che rendono compiutamente la dinamica delle figure anche in uno spazio così ridotto.
Fanno da accompagnamento brevi testi che rimandano agli elementi essenziali e cruciali della storia, che si vuole narrare soprattutto per immagini. Una sorta di didascalie, per chi la storia la conosceva già.
Il secondo libricino-calendario, anno 1921, riporta il marchio di una profumeria di Milano, e racconta la storia di Marco Visconti, esponente nel XIV secolo della nota famiglia milanese, che governò la città per un lunghissimo periodo.
Di questo secondo calendario, oltre la fattura più pregiata nella scelta della carta e della rilegatura, spicca il peso dato alla storia scritta, che non si esaurisce in poche righe a margine delle figure, ma alla quale viene dato ampio spazio, per ben due pagine.
Sono stata letteralmente rapita dal formato, dall'idea, dalle illustrazioni, dal valore dato alle storie che in quel modo diventavano patrimonio collettivo e condiviso, sia attraverso il testo che le illustrazioni. La funzione dichiarata di questi libricini doveva essere quella di calendari tascabili, da portare in borsa o addirittura nel portafogli, piccole conte dei giorni, da verificare al momento, quando non c'erano ancora smartphone che segnavamo il tempo di ieri e domani dall'oscurità fino alla fine dei giorni. Eppure le dimensioni dei numeri e dei giorni della settimana erano così piccole da rendersi quasi illeggibili.
Forse per questo era necessario rendere più accattivante il calendario, e lo si faceva corredandolo di storie illustrate, di un passato locale e lontano storicamente, oppure addirittura di storie lontane culturalmente. L'importante è che queste storie ci fossero e che fossero "leggibili" da chiunque in un tempo breve ma in modo efficace. A questo servivano le illustrazioni.
Facendo una piccola ricerca ho scoperto che non tutti i commercianti sceglievano storie però. Alcuni preferivano i giocatori di calcio della squadra cittadina, altri divinità indiane, altri ancora figure di santi. Dipendeva certo dal tipo di esercizio commerciale e anche dall'importanza della ditta, se era o no una nota profumeria nel centro di Milano o una pellicceria di Faenza, come appaiono quelle citate nei miei libricini.
Quindi l'idea di metterci una storia era una scelta consapevole, non consueta, perché non tutti facevano così. Questo li rende, almeno per me, ancora più affascinanti.
Mentre me li rigiro tra le mani non posso fare a meno di immaginarmi le persone che li hanno posseduti e le occasioni nelle quali li hanno letti, dimenticandosi, chissà, del giorno e del mese che volevano cercare, a vantaggio di quelle storie.
Come sarei felice se quest'anno a dicembre andando dal mio parrucchiere, in farmacia, dal panettiere, trovassi questi libricini-calendario, con storie piccole, del nostro passato cittadino e non solo, delle persone che hanno pensato e fatto cose grandi e che ci hanno preceduto, rendendo più umano il nostro divenire in questo mondo.
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