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mercoledì 14 settembre 2022

LA STORIA E NOI


Della morte della Regina Elisabetta II mi hanno fatto riflettere due aspetti, il primo di evidenza storica oggettiva, il secondo legato alla risonanza mediatica dal forte afflato nostalgico, non solo per il popolo inglese, che la sua dipartita ha generato in tutto il mondo.

L’aspetto storico che segna un passaggio epocale è che con la Regina Elisabetta II se n’è andata l’ultima persona ad aver conosciuto e dialogato con Winston Churchill, una figura politica che mi ha sempre affascinato. È stato detto da moltissimi quotidiani, la Regina Elisabetta II ha rappresentato fino a ora quel ponte tra due mondi situati tra la fine del novecento e l'inizio del nuovo millennio, ponte sul quale lei ha saputo camminare, in perfetto equilibrio, creando solide relazioni. Il legame tra la Regina Elisabetta II e Winston Churchill costitutiva parte di questo ponte. 

Per quanto riguarda la risonanza mediatica della sua morte, questo mi ha indotto ad alcune riflessioni e domande.

La monarchia rappresenta una delle istituzione più antiche al mondo e ha sempre fondato la sua sopravvivenza  sull’esercizio di privilegi e poteri, spesso ben oltre i propri confini nazionali. Eppure verso questa istituzione, almeno a giudicare dalle immagini da cui siamo stati inondati nei giorni passati e ancora oggi, la comunità europea nutre una certa nostalgia. Dove affondano le radici di questa nostalgia, e perché sono così pervicaci tanto da mobilitare in modo univoco l’opinione pubblica senza alcuna riserva?

Sabato, mentre ero in auto, ho avuto modo di ascoltare l’ultima puntata di una trasmissione a me molto cara, Mappe del tempo. L’avventura dell’archeologia, su Rai Radio Tre, un programma a cura di Monica D’Onofrio, condotto in studio da Andrea Augenti. Il titolo della puntata era A chi appartiene il passato? Restituzioni. Raccontava in modo molto accurato la questione dei marmi del Partenone, trafugati in modo illecito (anche se il governo inglese non la pensa esattamente così) agli inizi del 1800 da Thomas Bruce, VII conte di Elgin, nobile scozzese che lavorando alacremente e, aggiungerei, spietatamente sull’acropoli, sezionò pezzi del fregio e statue dei frontoni per facilitarne il trasporto verso l’Inghilterra, dove, come racconta Augenti e come è documentato dal carteggio personale di Lord Elgin, avrebbero dovuto abbellire la sua residenza. 

Che i fregi del Partenone e alcune statue dei frontoni siano poi confluiti nel British Museum lo si deve alle sventurate condizioni economiche in cui si trovò a vivere Lord Elgin negli anni a venire, e per le quali lui stesso decise che sarebbe stato meglio vendere quei preziosi reperti e incassare una cifra tale da consentirgli di rimediare ai suoi disastri economici. 

La commissione parlamentare inglese incaricata di valutare l’operato d Lord Elgin, verificò, pur senza un documento originale che ne attestasse la liceità, che effettivamente era stato dato mandato dal governatore locale del regno ottomano che allora governava su Atene (qui un bell'articolo su Atene ottomana), di poter portare reperti archeologici nel Regno Unito. In realtà le cose non stavano proprio così, e Augenti lo racconta molto bene nella trasmissione che invito a ascoltare.

E così i marmi del Partenone divennero una delle collezioni più prestigiose del British Museum.

Fino a quando a metà degli anni ottanta del '900 l'allora ministra della cultura greca,  Melina Mercouri, non avviò richiesta formale di restituzione dei marmi del Partenone al suo paese di provenienza per appropriazione indebita. 

Ovviamente fregi e statue sottratte dal conte Elgin si trovano ancora nel British Museum.

La questione ha dato vita però a un acceso dibattito, che, come giustamente mette in luce Augenti, travalica i confini del lecito e dell’illecito, che sarebbe già sufficiente, visto che non è mai stato trovato un documento ufficiale che legittimi la spoliazione, per approdare su un terreno simbolico e ideologico, per il quale il British Museum, non potrebbe mai privarsi dei marmi del Partenone.

Mi sono occupata di questioni simili per la mia tesi di specializzazione in Museologia e Museografia, che ricostruiva, proprio sotto il profilo simbolico e ideologico, l’operato di Sir Austen Layard, quando agli inizi dell’’800, dopo il fortunatissimo ritrovamento dei rilievi neo-assiri prima nel sito della moderna Khakhu, antica Nimrud, poi in quello di Ninive, durante le attività di scavo in Iraq, legittimamente concesse dal Vizir ottomano e finanziate proprio dal British Museum, inviò alla cugina, Lady Charlotte Guest, diverse casse di reperti, che confluirono, dopo attento studio progettuale, nel Portico di Ninive, una sorta di maestoso ingresso alla residenza Guest, nella forma di una cappella neo-gotica.

Anche in quel caso la questione dell’appropriazione e dell’allestimento museale diventava la modalità ideologica per mostrare come l’impero britannico fosse l’unica realtà istituzionale e politica in grado di ereditare l’antico, conservarlo e muoversi in direzione del progresso. Mi sono divertita moltissimo a scandagliare come la struttura neo-gotica del portico fosse stata posta in relazione semantica con la disposizione delle lastre, per veicolare un preciso messaggio ideologico, ho scoperto aspetti molto interessanti, che presto vedranno la luce in un articolo.


Per quanto riguarda i marmi del Partenone questo è ancora più evidente perché la Grecia rappresenta la patria delle istituzioni democratiche, di cui l’Europa e l’Occidente in generale non possono che sentirsi evoluta espressione.

Non è un caso che le ragioni addotte dal governo britannico prima del 2009, anno di inaugurazione del Museo dell’Acropoli di Atene, un museo di straordinaria bellezza e ideazione museologica, per continuare a tenere fregi e le statue del Partenone ancora sul suolo britannico, riguardavano la convinzione che i marmi sarebbero stati più al sicuro e disponibili a un più vasto pubblico lì dove erano stati indebitamente trasportati, estirpandoli dal proprio contesto archeologico e culturale, piuttosto che sul suolo natio, l'unico in grado di restituire il loro autentico valore storico e scientifico.

Cosa c’entra allora potremmo chiederci tutto questo con la morte della Regina Elisabetta II e la deflagrante onda mediatica dal forte sapore nostalgico che sua la scomparsa ha mosso? 

Cosa sentiamo di aver perso con la scomparsa della sovrana più longeva del Regno Unito? 

Cosa il governo inglese non vorrebbe dover perdere restituendo la collezione dei marmi del Partenone al suo legittimo proprietario? 

Torniamo allora alla prima domanda: dove affondano le radici di questo senso nostalgico e qual è il terreno ideologico sul quale sono cresciuti i presupposti secondo i quali opere d’arte appartenente a un paese terzo e a questo sottratte, debbano stare altrove? 

Pur essendo l’Europa formata da stati nazionali con storie individuali è evidenza chiara che la storia di questi stessi stati è intrecciata da avvicendamenti di potere, guerre, divisioni che li hanno visti tutti protagonisti l'uno della storia dell'altro. La compagine politica e nazionale che oggi vediamo formare la nostra Europa è frutto di centinaia d’anni di storia comune, una storia che si è giocata entro i confini dell’Europa ma anche fuori, con l’ampliamento dei confini geografici attraverso le conquiste coloniali. I presupposti ideologici di tali conquiste affondano nella consapevolezza di rappresentare, proprio grazie al processo di formazione degli stati nazionali nel corso della Grande Storia, le migliori forme di governo possibile, il miglior modello di civiltà. 

Lo spiega bene Augenti quando nel programma citato ricorda la formazione del museo inglese Pitt Rivers ad Oxford il cui fondo più importante è costituito dai materiali etnografici sottratti con la conquista e il genocidio al regno africano del Benin, attuale Nigeria, una storia agghiacciante di cui poco si parla, ma che rappresenta davvero uno scandalo, nel pieno senso etimologico della parola greca (qui un'accurato articolo sulla dibattuta questione). 

Il possesso di questi materiali e la loro esposizione era servita a legittimare la conquista di quel regno alla fine del 1800, con la scusa, non vera, che si trattasse di opere d’arte sottratte ad un popolo addirittura dedito al sacrificio umano. Erano certo di straordinaria bellezza, ma in ogni caso chi le aveva prodotte viveva di un modello sociale non paragonabile a quello classico occidentale, la cui superiorità si fondava  proprio a partire dalla sua storia antica, visibile e visitabile nel British Museum, nei marmi del Partenone appunto, che incarnavano invece, per la storia che rappresentavano, quanto di più elevato l’Occidente classico avesse prodotto, e di cui, non c’è neanche bisogno di dirlo, il regno inglese ne era l’erede più rappresentativo. 

Il Partenone infatti venne costruito con un impegno economico estremo a seguito di circa trent'anni di guerre contro i Persiani, che avevano ridotto l'acropoli a un cumulo di rovine. A Pericle si deve l'ardire di così grande investimento, a Callicrate e a Fidia la progettazione architettonica e decorativa del grande tempio dedicato alla dea poliade Atena Partenos, la quale aveva garantito la definitiva sconfitta dei barbari. Basta leggere le Storie di Erodoto per farsi un'idea di come venissero dipinti i Persiani dai civilissimi greci. Non c'era alcun dubbio i Greci avevano vinto sui barbari Persiani, garantendo così alla Democrazia di continuare a esistere. 

Le statue e i fregi del Partenone hanno da sempre rappresentato in modo inequivocabile quella vittoria sulle oscure forze tese a sovvertire i principi democratici  e civili sui quali si fonda la civiltà occidentale.

In un tempo di grave crisi come quella attuale nella quale sembra davvero di essere in balia di forze oscure che governano in maniera caotica e devastante la vita di ciascuno di noi, i valori incarnati dalla sovrana inglese appena scomparsa possono rappresentare un richiamo ideologico e nostalgico a un tempo di sicurezza perduto, che discende direttamente da quella Grecia classica presente nel British Museum e di cui il Regno Unito se ne trova a essere erede. 

Oggi più che mai allora sembra lontana l'ipotesi di una restituzione dei marmi della collezione Elgin alla Grecia, nonostante è del 2019 una risoluzione dell'Unesco che invita al dialogo i due paesi e a una forma di conciliazione. (Mi chiedo onestamente quale forma di conciliazione sia mai possibile).

Ora più che mai però, con la morte della Regina Elisabetta II, credo che il governo greco tornerà a bussare alla porta, e il governo inglese insieme al suo nuovo re, Carlo III, dovranno decidere se davvero diventare una moderna monarchia parlamentare, che sa riconoscere nelle vicende storiche che l'hanno attraversata azioni niente affatto edificanti, se non addirittura brutali come nel caso del Benin, e riconsiderare la possibilità che la restituzione dei marmi della collezione Elgin  o dei bronzi del Benin possano rifondare le condizioni di nuovo modello di civiltà. 

La Storia, quando ne diventiamo consapevoli autori, non ci chiede di essere nostalgici, ma presenti al momento presente, che è l'unico punto in cui il presente e il passato possono incontrarsi e diventare futuro.







 

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